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In questi giorni è molto attuale il dibattito sul TFR e sulla possibilità di anticipare la liquidazione dello stesso tramite un’erogazione annuale di quanto maturato. Come al solito tuttavia tutto si risolve più in una questione di tifoseria che in un dibattito serio.
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TFR |
Anche se si sono alzate una serie di voci contrarie e la proposta ha raccolto tante critiche, personalmente penso che una riforma del TFR possa essere un aspetto importante su cui lavorare e che nella proposta vi siano dei punti positivi. Ma innanzitutto vediamo come funziona attualmente il TFR e perché alcune critiche celano anche interessi di parte.
Cosa è il TFR?
Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR), anche detto liquidazione o buonuscita, è stato introdotto nel 1927 e da allora garantisce al lavoratore privato che una parte del compenso venga trattenuto dal datore di lavoro ed erogato alla fine del rapporto di lavoro.
A quanto ammonta il TFR?
Cosa ha cambiato la riforma del 2005?
Con la riforma della previdenza complementare nel 2005 è stata introdotta la possibilità per i dipendenti di scegliere se:
- mantenere il TFR in azienda, con lo schema di rivalutazione di cui sopra;
- versare il nuovo TFR maturato in un fondo che può essere un fondo istituito dall’azienda, di categoria, o laddove non esistente un fondo istituito dall’INPS. In tal caso la rivalutazione è pari a quella della linea di investimento attuata dal fondo e bisogna considerare costi di gestione e caricamenti del gestore del fondo. In questo caso sia il dipendente che l’azienda possono decidere di effettuare un contributo volontario.
Quando si può ritirare il TFR?
Il TFR lasciato in azienda viene liquidato in caso di dimissioni, decesso o licenziamento. In aggiunta, decorsi otto anni di permanenza in azienda è possibile richiedere un’anticipazione sul TFR pari al 70% dell’importo accantonato in caso di necessità legate alla salute o l’acquisto di un’abitazione.
Per il TFR accantonato in un fondo può essere chiesta l’anticipazione secondo le regole di ogni Fondo che spesso la consentano, in misura percentuale minore, anche per cause diverse rispetto a quelle di cui sopra. In caso di dimissioni e cambio di lavoro, teoricamente la scelta di adesione alla previdenza complementare sarebbe irrevocabile con il trasferimento della posizione, ma nella pratica mi pare di capire che sia possibile il riscatto di quanto maturato e addirittura modificare la propria scelta in materia di scelta tra lasciare il TFR in azienda o presso un fondo.
Alcuni aspetti critici sul TFR
Mi sembra importante chiarire alcuni punti sul TFR perché alcune considerazioni spesso lo dimenticano:
- Il TFR è del lavoratore e non del datore di lavoro. E’ vero che le imprese usano il Fondo TFR come una fonte di finanziamento a basso costo, ma in una media azienda con una certa storia il turnover fa si che l’esborso per liquidare chi cessa il lavoro sia uguale alla liquidazione di quanto dovuto annualmente al lavoratore;
- il TFR serve a garantire il lavoratore una volta cessato il lavoratore e quindi non può essere investito in forme speculative di investimento;
- I fondi pensione complementari devono rendere e non essere gravati di costi inutili e pagare apparati amministrativi;
- i sindacati devono difendere i lavoratori, non gestore i loro soldi la cui gestione deve essere demandata a professionisti del risparmio, preferibilmente vigilati e sottoposti a regole rigide.
- la riforma previdenziale è stata fatta perché pare ormai certo che in futuro le pensioni non saranno più sostenibili e in valore assoluto continueranno a diminuire.
Il mio parere sulla proposta di riforma Renzi
Premesso quanto detto sopra, penso che la riforma di cui si parla in questi giorni non abbia estremo valore nel rilanciare i consumi, ma metta almeno un po’ di chiarezza su chi sia il proprietario dei soldi ossia il lavoratore.
Non vedo gradi downside nella stessa se non la perdita per chi gestisce i fondi complementari, incluso i sindacati, e per chi non avrà l’accortezza di mantenere comunque la giusta accortezza nel risparmio da giovane per garantirsi un futuro. Penso altresì che debba rimanere l’opzione per chi vuole di mantenere i soldi in azienda, magari valorizzando e remunerando maggiormente, anche garantendo una diversa forma di partecipazione, tale forma di prestito.
Consideriamo infine anche che la riforma porrà almeno in ridiscussione una riforma sul sistema pensionistico che a pochi anni di distanza si è già rivelata debole e lacunosa e che non certo garantisce un futuro e una reale integrazione al sistema pensionistico.
Ovviamente do per scontato che la riforma non sia il modo per tassare questi soldi, perché altrimenti la finalità della liquidazione annuale di quanto maturato sarebbe davvero criticabile.
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